CHILD IN TIME
Data/Ora
Data(e) - 14 dic 2012 until 27 dic 2012
16:00 - 19:00
Luogo
Galgarte - galleria
Categorie
child in time
Attento all’estetica dei linguaggi e alla contaminazione tra generi, non è difficile riconoscere anche in quest’ultima personale, le linee guida del lavoro di Emilio Minotti.
E’ quindi un pensiero costante a identificarsi nelle scansioni che il capolavoro letterario di
J. Mc Ewan, “The child in time” (bambini nel tempo), sembra ottimizzare, offrendo piani di scrittura creativamente spiazzanti, in evocazioni sull’immanenza del tempo che tutto trattiene e rimanda, plasmandosi nei temi crudi e folgoranti di pittura così suggestivamente coincidenti con la giostra inquieta su cui entrambi gli autori assegnano posti alterni ai propri interpreti sparigliandone i destini.
Il tempo perduto e il mito inevaso dell’infanzia sino al suo regredire, il senso di libertà e stupore che quell’Eden mantiene nell’immaginario di Minotti così come nelle pagine ispiratrici, si ritrovano incisivamente espresse nel corpus di opere proposte, dedicate a quegli attimi originari da cui tutto muove nel progressivo riandare tra sé e l’oltre.
Se tutto ha inizio da una perdita devastante, questo senso di mancanza assurda si salda nel romanzo e nel suo traslato artistico con una singolare incessante peregrinazione nei piani paralleli e contigui di vicende e vite comprimarie.
Tra il protagonista delle storie e gli autori, una doppia inevitabile osmosi crea un processo di identificazione che regge tenacemente le fila del viaggio, mentre si incrociano suoni, colori, intese e contese di una ricerca al di là del possibile.
Nella non conformità del rapporto realtà-sogno, antiretorico e poetico al tempo, sono molti i dati a ripetersi nelle opere in mostra, simili nel formato prescelto definendo “i quadri” di una rappresentazione a metà tra l’iperreale e il kitsch di una virtuale narrazione contemporanea: “strisce” per adulti nell’alfabeto new-pop che non esclude il ludico e l’orrorifico saldamente connessi alle sequenze dell’attuale convivere.
Riconducendosi a esperienze sia autobiografiche sia da memorie collettive anche favolisticamente allertate, nella propensione innata al racconto, si percepisce la ricerca di Emilio Minotti come un’unica partitura che la vita si incarica di scandire tra profonde emozioni e improvvisi ricordi.
Piatte campiture acriliche in decisi contrasti cromatici che un segno semplificato rende seducenti, nei dieci quadr-ati che la trama letteraria suggerisce, non esauriscono solo in quel contesto un’elaborazione più intensa e sottile connotata dai sentimenti preesistenti nel pathos dell’artista.
Un grande gioco ottico-grafico con l’intento anche di leggere più in profondità le inquietudini del nostro tempo in cui i disagi individuali si saldano agli sfasamenti generali.
La funzione del disegno è qui del tutto strumentale rispetto al concetto e al contenuto, base per altro, nel caso quasi sostegno ad una sorta di video-gioco il cui effetto finale collima con certa pubblicità subliminale che l’artista sceglie come proprio manifesto.
Ciò è maggiormente evidente nel primo quadro programmatico dove i loghi imperanti della web comunicazione, tra giochi e balocchi uniti a immagini di mezzi di trasporto onnipresenti e simboli evocativi di design del mercato di massa, propongono, con il proliferare di lettere giocate in più dimensionalità, una sotterranea chiave di lettura a tutto l’elaborato.
Child si staglia strategicamente ovunque ricomponendo e disgiungendo in un puzzle raffinato i tasselli di questo doppio senso, mentre le situazioni si rincorrono cercando verità nascoste alla superficialità dominante.
In singolare persistenza nella rincorsa all’identificazione sfuggente delle ragioni della vita, in questo percorso giocano in libertà e ironia le pagine di un più privato background: il lavoro dell’artista, dall’originaria adesione iconica, così in bilico tra piani diversi pur variando le tecniche, permane complesso nel superare i termini concreti spazio-temporali, rimescolandone volentieri piani e riferimenti certi.
Lo spaesamento che spesso ne consegue fa sì che ogni tappa della ricerca non sia puro esercizio di stile, ma esigenza autentica di aggiornare i dati del laborioso taccuino di viaggio.
La singolarità quindi di questa proposta che dall’affascinante dato letterario elabora flashback intrisi di presenze e consistenze sul filo di memorie e giorni forse mai trascorsi o da venire, sta tutta nell’incessante ricerca di allusive scansioni da quel magmatico pulviscolo di realtà e di spazi che sommariamente chiamiamo “età”.
La regressione all’infanzia e il perdurare nel tempo di incancellabili echi di quell’antico fanciullo restano elementi essenziali per entrambi gli autori, ai quali attingere per eludere nel doppio senso del gioco, un confronto spigoloso con le negatività stridenti del “mestiere di vivere”.
Le età, i giorni, il tempo e il suo protrarsi nel misterioso circolo dell’immanenza, rendono forse possibile ciò che la nostra realtà non percepisce?
L’incontro con ciò che non è, non è più o sarà, che Mc Ewan mirabilmente descrive, intrecciando storie e tempi paralleli, troverà luogo se il pensiero, decadendo ogni fittizia barriera, individuerà la via oltre le coordinate convenzionali?
Intenso e di ampio fascino questo panta rei letterario e pittorico, in cui molti e leggibili sono gli elementi che alternativamente entrano nel lessico del comporre di Minotti, tra segni primordiali di natura e vita, in acquatiche trasparenze, legando ogni dato esteriore, oltre l’effimero, a ceppi immanenti d’appartenenza, rendendo ogni contesto un curioso sommarsi di singolari déjà vu in cui prevale un forte dato enigmatico.
Tutto scorre e ritorna, così persistente nel subconscio al centro di ogni agire, un’eternità evocata e inseguita caparbiamente proprio nel gesto artistico, consegnato con occhi di bimbo oltre il limite, oltre la logica, all’oltre indescrivibile.
Tra metafore accoglienti e più oscuri presentimenti, i capitoli variano per superare i profili stessi del dato letterario in un sornione beffardo sorriso di complicità.
E così come curiosamente accade in entrambe le finzioni, “ogni quadro”, finendo per dettare regole proprie e trascendendo forse le intenzioni dei rispettivi autori, con subdola autogestione, va ad assumere i contorni di sconosciute “stanze” attraversate con fragili certezze, negli stranianti ossimori di una realtà indefinita e sfuggente.
Bergamo, dicembre 2012
Sandra Nava
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